Fondazione Giuseppe Tatarella

Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve – recensione di Franco Metta

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Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve

Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve

                                  IL CENTENARIO CHE SALTO’ DALLA FINESTRA E SCOMPARVE.
di JONAS JONASSON

 

 

 

 

 

 

 

Boh, questi fenomeni letterari.
Li compri sti libri.
Li vorresti leggere con voglia di scoprire perche’ siano diventati fenomeni
letterari.
Almeno a guardare le classifiche di vendita e certe recensioni, che somigliano
tanto a delle ” marchette “.
Poi….
Scopri che si’, le prime cinquanta pagine sono gradevolissime.
Tutto il romanzo e’ scritto bene: scorrevole, con uno stile vivace e fluido, che prende.
Diverte anche.
Strappa dei sorrisi.
Ma, poi, delude. Stanca.
Il centenario che fugge, trova la maniera di raccontarci la Sua vita.
Ma il romanzo scade nel paradosso.
Sfrenato.
Senza limiti.
Sfilano personaggi della storia del Novecento.
In cui il centenario si imbatte.
In circostanze assurde.
E’ una sorta di umorismo psichedelico. Irreale.
Stufa.
Stanca.
Cominci a saltare, a sfogliare, invece di leggere.
Alla fine ti fanno male le mani, che reggono il tomo, pesantissimo.
Il cervello Ti vola via altrove, perche’ il racconto e’ cosi’ assurdo, che non
diverte piu’,non interessa, non intriga.
La stessa fuga e’ travolta dal paradosso.
Dico, per esempio, puo’ essere che tu fugga con al seguito un elefante,
trasportato in un camper smodato ?
Trainato da una…. autovettura…. che avra’ un motore marziano….
Puo’ essere che tu sia inseguito da banditi spietati, che finiscono ammazzati
nelle maniere piu’ incredibili.
Per dire, uno dei banditi muore, perche’ il pachiderma,in piena campagna svedese,
ci si siede sopra.
Ma va la’, alla Ghedini.

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella


Più uguali più ricchi – recensione di Franco Metta

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Più uguali più ricchi

Più uguali più ricchi     PIU’ UGUALI PIU’ RICCHI
di YORAM GUTGELD.
ovvero

SE QUALCUNO MI DICE CHE RENZI E’ DI SINISTRA
…..lo sputo…..

 

 

 

 

 

 

 

La ingiustizia sociale e’ un male assoluto ed e’ anche un freno allo sviluppo economico.
Questa la tesi centrale di questo saggio,scritto da un deputato del PD,oltre che filosofo, matematico, manager.
Detta cosi’ e’ intrigante assai e non mi resta che buttarmici a capo fitto.
Per scoprire…..che questo testo o lo ha scritto Renzi o Renzi ripete a soggetto quel che qui ha studiato.
Dunque,una ulteriore, fondata ragione per leggerlo e, magari, studiarlo.
La tesi di Renzi – Gutgeld e’ che l’Italia abbia bisogno di equita’ non di eguaglianza.
Io,che ahime’ nel 68 gia’ c’ero e c’ero nel 70 e poi nel 78, ricordo che eravamo Noi, allora di estrema destra, a invocare equita’, mentre i ” compagni ” teorizzavano eguaglianza.
Bella soddisfazione constatare che il messaggio e’ passato: anche nel PD sono ormai consapevoli che occorre equita’; peccato che non esista piu’ quella forza politica che, prima,aveva intuito la fondatezza di questa teoria.
Il “camerata” Yoram proclama anche la necessita’ di uno choc culturale (lo chiama cosi’), che – papale papale – significa meritocrazia totale.
Anche nella pubblica amministrazione.
Toh, guarda un po’, meritocrazia…. Ne avro’ fatti un centinaio tra convegni, congressi, riunioni, con dentro ai titoli la parola meritocrazia?
No, non un centinaio….di piu’.
Allora avevamo ragione Noi.
Peccato che i Noi non esistano piu’, smarritisi nella ricerca dell’appagamento di mille io.
Con alta percentuale di io, totalmente idioti.
Le ricette di Gutgeld sono, non soltanto interessanti, ma addirittura esaltanti.
In specie per uno come me, che queste cose le ha sostenute da destra, in una Destra Sociale.
Vediamole in un flash.Ridurre lo Stato sociale improduttivo, che distrugge la ricchezza e frena lo sviluppo.
Il Sociale deve offrire servizi, non assegni (….si ma poi i voti dei clienti…..)
La sfida vera non e’ spendere di piu’, ma spendere meglio.
La diminuzione della pressione fiscale.
Accompagnata da una radicale revisione della qualita’ della spesa;
da un drastico ridimensionamento della burocrazia.
Obbiettivi ambiziosi, ardui.
Che Yoram Gutgeld si preoccupa di rassegnare ai Suoi lettori come assolutamente possibili.

E, comunque, se qualcuno, dopo questo, mi dice che Renzi e’ di sinistra…lo sputo…..

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.


La mia terra promessa – recensione di Franco Metta

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La mia terra promessa

La mia terra promessa

          LA MIA TERRA PROMESSA
di ARI SHAVIT

 

 

 

 

 

 

 

 

E ‘ un libro di storia.
Risultato di mille storie diverse.
Centrale quella di Ari Shavit, giornalista, voce autorevole sulla questione medio orientale e sul conflitto istraelo-palestinese.
Ma tante altre sono le storie che Ari narra.
Storie di paure, ma anche di crudelta’ indicibili.
Subite e inflitte, nella stessa quantita’ e con la stessa spietatezza.
Ciascuno convinto che una ragione superiore renda lecito fare ad altri, cio’ che fatto a te, ha suscitato orrore e riprovazione.
Ari percorre questo cammino.
Da sionista diventa pacifista.
E’ cio’ che inquieta e’ che il lettore parteggia per Lui, sia prima che dopo.
Vede il giusto in quel che fa, in quel che dice, sia quando lo fa e lo dice in
una direzione, sia quando lo fa e lo dice nell’altra.
Impari cosi’ quanto inutile sia cercare, come spesso ci succede stolidamente, la
ragione e il torto in questa vicenda storica.
Shavit ci dice della paura esistenziale, che accompagna da sempre coloro che in
Israele vivono.
Il terrore che la vita, come una novella Pompei, da un giorno all’altro possa arrestarsi improvvisamente.
Ma Shavit e’ anche soldato di occupazione nei territori palestinesi.
E si trova a tormentare civili, a negare loro liberta’ e diritti civili.
Quell’ Istraele cosi’ preoccupato di trasformarsi in una novella Pompei, e’ anche uno Stato occupante.
Sharit mostra la cecita’ di quanti da sinistra vedono solo l’occupazione e trascurano la minaccia; cecita’ comune a quelli che da destra vedono la minaccia e non l’occupazione.
E’ la storia di una impossibilita’.
L’impossibilita’ della pace, che rende impossibile il conflitto,visto che non si puo’ combattere se la prospettiva finale non e’ la vittoria e, dunque la pace.
La conclusione, tutt’altro che ovvia, e’ che :
“Lo Stato ebraico non assomiglia a nessuna altra Nazione.
Questo paese non puo’ garantire ne’ sicurezza ne’ benessere ne’ serenita’, ma
puo’ offrire l’intensita’ di una vita vissuta al limite”.
” Un popolo che e’ tornato dalla morte e che, pur essendo circondato dalla
morte, ha messo in scena uno spettacolo di vita straordinario”.
Dopo aver letto Shavit, una idea piu’ chiara su quel che accadde e accade in MedioOriente ce l’ avrete di sicuro.
E scommetto non sara’ quella che vi tocca quotidianamente di leggere sui grandi giornali o alla TV.

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.


La rivolta del correntista – recensione di Franco Metta

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La rivolta del correntista

La rivolta del correntista

                                                                          LA RIVOLTA DEL CORRENTISTA.

                     di MARIO BORTOLETTO.

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ la storia, imperdibile, di una rivolta personale.
Mario Bortoletto, imprenditore, dichiara guerra alle banche.
E la vince.
Non lo recensisco, lo racconto. Quel che seguono sono tutte parole dell’autore.
“Molte persone credono di essere debitrici nei confronti della banca mentre in realta’ sono creditrici. Mi auguro che questo libro possa aiutarle ad avere giustizia, cosi’ che il non dovuto che gli e’ stato sottratto venga loro restituito”.

“La storia di un imprenditore del nord est a cui le banche hanno rovinato prima il lavoro poi la vita”.

“Trent’ anni di lavoro significano tantissimi prestiti,mutui,leasing”.
“Avevo vent’anni. Ho cominciato la mia avventura con 50.000 lire prese in prestito da mia sorella” .
“Comincio con i privati, anche piccole cose: ristrutturazioni o costruzioni modeste”.
“I primi appalti sono con il Comune di Padova. Poi mi allargo e comincio a fare gare nel resto di Italia”.

“Nel nostro settore e’ importante avere delle banche su cui poter fare affidamento”.
“Gli istituti di credito mi concedono la disponibilita’ immediata dell’ 80 per cento del denaro pattuito con l’ ente pubblico che mi commissiona il lavoro”.
“Fuori dal mio ufficio c’ e’ la fila dei direttori”.
“Mi allisciano, mi corteggiano”.

“Alla fine degli anni 90 tutto il Nordest comincia a cambiare pelle. La corsa all’oro e’ finita. Molte aziende cominciano a smantellare per riaprire altrove, fuori dall’ Italia. Altre chiudono. Quelle che rimangono faticano ad andare avanti. Il mercato immobiliare comincia a rallentare”.

“La batosta arriva nel 2004. Una delle mie banche chiede il rientro dei soldi prestati. In quel momento non li ho. Sono in attesa che alcuni comuni mi paghino per i lavori arretrati. Li ho terminati nel tempo stabilito ma le
amministrazioni tardano a fare i bonifici”.
“Ho uno scoperto con loro di 22.500 euro e li vogliono tutti e subito”.
“Sono le commissioni di massimo scoperto a lasciarmi interdetto. Raggiungono un tasso di 1,50 per trimestre”.

“Il mio passatempo preferito diventa Il Caso.it, sezione crisi di impresa e diritto bancario”.
“Faccio una perizia econometrica, cioe’ una analisi di tutta la storia del mio conto corrente”.
“Risulta che mi avete applicato tassi usurai. Ai normali interessi avete aggiunto: commissioni di massimo scoperto, interessi sugli interessi ed oneri vari che sommati superano il tasso soglia fissato dalla Banca d’ Italia”.
“Sono io ad essere a credito nei vostri confronti. Per la precisione mi dovete 67.800 euro”.

“Il 26 giugno 2012 arriva il verdetto”.
“….pagare a Mario Bortoletto 67.077,75 euro “.
Mazz e uno, direbbere a Foggia.

Il libro continua.
Con la storia degli altri successi.
Con i consigli per chi non vuole arrendersi.

Una storia interessante. Che ha avuto ampio risalto giornalistico, grazie a quei pochi giornalisti rimasti in circolazione, tipo Riccardo Iacona.
Un libro da leggere.

E Vi do una dritta.
Quando in libreria vedete testi editi da Chiarelettere, aprite gli occhi.
Nel 90 per cento dei casi meritano la vostra attenzione.
www.chiarelettere.it, non dimenticatelo.



La tela del doge – recensione di Franco Metta

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La tela del doge

La tela del doge

    LA TELA DEL DOGE

di PAOLO FORCELLINI

 

 

 

 

 

 

Non e’ un “giallo” .
Piuttosto la storia di una indagine, di una normale indagine di Polizia, in un normale Commissariato.
Con la non trascurabile particolarita’ che si tratta del Commissariato di Polizia di Fondamenta San Lorenzo, in Venezia.
Un altro romanzo iscritto al filone, che va di moda da qualche tempo, dell’investigatore italiano.
Anzi, del poliziotto italiano.
Simpatico, fuori registro (qui Marco Manente e’ un alcolizzato, si scopa le sospettate, non rispetta Magistrati e Superiori, insulta subordinati, quando non concupisce subordinate).
Uno con cui farete subito amicizia: cialtrone, di dubbi principi morali, ma simpatico a pelle.
Si legge come gradevole passa tempo….fino a quando non finisce in una “americanata” ridicola, con Ministri ladri di quadri (che…poi….finiscono arrestati…..ma dove? In Italia….ma va), cose inverosimili, vicende tragicomiche, in cui il simpatico Manente che avevamo conosciuto all’inizio, sbronzo e scanzonato, non meritava di finire come un qualsiasi detective americano dei canali Sky.
Dunque?
Si puo’ leggere, se volete, ma forse meglio usarlo come guida turistico eno gastronomica, se avete in programma una gita a Venezia.

Bevete:
” Terre Alte ” di Livio Felluga;
” Breganze ” bianco,superiore;
” Marzemino “;
” Sauvignon ” dei Colli orientali del Friuli;
” Picolit ” vino da meditazione;
” Muller Thurgau “;
” Gewurztraminer ” vino altoatesino del maso Nussbaumer;

Mangiate:
“Da Remigio,in Salizzada dei Greci,canoce (le nostre cicale) lessate e condite olio,limone,pepe prezzemolo;
Alla Osteria “Al Portego”, uova soda con acciughette, misto di capesante e peoci, moeche fritte, granchi della laguna,catturati nel momento della muta, quando si liberano della corazza e diventano teneri e deliziosi;
Alla Osteria Santa Marina,ma occhio: Manente ci porta una donna raffinata, da conquistare; tanto ” osteria ” non dovrebbe, poi, essere; si mangiano cappelunghe e carpaccio di capesante con fois gras affumicato, tagliolino nero in busara di astice, scampi in saor di porro e zenzero;
In Fondamenta Bragadin al “Cantinone Storico”: risotto di go (pescetto della laguna introvabile), coda di rospo con contorno di articiochi.

Visitate:
Campo San Lorenzo, pensatoio di Manente;
Ponte della Tetta; esiste: e’ il posto dove le baldracche della Serenissima, con tanto di licenza, nei secoli andati,affacciandosi alla finestra,mettevano in mostra la loro mercanzia;
Campo SS Apostoli, venendo per Strada Nuova;
Campo Santo Stefano, di una bellezza commovente;
Campo S. Bortolo, dove i veneziani, non i turisti, si danno appuntamento, sotto la statua di Carlo Goldoni;
Scuola Dalmata, una realta’ museale preziosa,uno scrigno, assai poco valorizzato.
Infine, toglietevi lo sfizio di comprendere perche’:
Il veneziano beve un “un ombra”;
Cos’e il “mozzo da culo”;
Colleoni a che deve il proprio cognome;
Chi era soprannominato “cagalibri”;
Carnevale che origine ha.
E gia’ che siete a Venezia, una puntatina ad Abano ci sta!
All’hotel Trieste e Vittoria il generale Diaz scrisse il bollettino della Vittoria.

Franco Metta

Per la Fondazione Giuseppe Tatarella


Il partito del capo – recensione di Franco Metta

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Il partito del capo

Il partito del capo

                                                  IL PARTITO DEL CAPO
di FABIO BORDIGNON

 

 

 

 

 

 

 

 

Un testo, tanto ignorato dai media, quanto indispensabile per comprendere la politica: oggi.
Si parte con Antonio Gramsci: “Finche’ sara’ necessario uno Stato, finche’ sara’ storicamente necessario governare gli uomini, qualunque sia la classe dominante, si porra’ il problema di avere dei capi, di avere un capo.”
Si continua con la indiscutibile constatazione della avvenuta “personalizzazione” della politica, ad ogni livello.
Anche a livello territoriale.
Si dilatano a dismisura gli spazi politici occupati dai singoli leader. Nazionali o locali.
Il cittadino elettore tende sempre di più a compiere delle scelte di voto personali,
svincolate dal condizionamento dei partiti.
Questa situazione, che non credo sia oggettivamente discutibile, é il frutto, essenzialmente,
dell’indebolimento dei partiti tradizionali.
Ma se e’ vero che il tempo dei partiti di massa é scaduto, é altresì vero che la società si é destrutturata.
I cittadini tendono ad avanzare istanze sempre più diversificate.
La lettura onnicomprensiva del mondo attraverso le lenti della ideologia é uno strumento ormai inadeguato.
Ma attenti a dirlo al barbuto segretario del PD di Cerignola, potreste provocargli una crisi esistenziale definitiva ed irreversibile.
Attraverso la personalizzazione della politica si accorciano le distanze tra i cittadini e la politica.
E si scatena la caccia al leader, che non è, non può essere, puramente e semplicemente colui o colei che in un dato momento storico é a capo di qualcosa di politico.
Quello o quella sarà il capo, come in stazione ci sarà pure un capo/ stazione, con il berrettino rosso.
Anche se il titolo evoca il capo, non dimenticatevi che non cerchiamo per definire il fenomeno della personalizzazione della politica un caporale di giornata.
Cerchiamo un leader.
Che disponga di quello che Nye chiama il soft power.
Un certo tipo di potere che fonda carisma e capacità di comunicare efficacemente.
I candidati che conquistano gli elettori e, quindi, diventano leader sono quelli “capaci di tessere racconti emotivamente persuasivi su se stessi e sui loro avversari, quelli capaci di far provare alla gente i loro stessi
sentimenti” (Westen).
Da mandare a memoria i passaggi del testo in cui si fa chiarezza sulla definizione e sulla stessa essenza di due termini in politica assai abusati.
Ingiustamente bistrattati, da sciocchi quanto ignoranti esegeti.

POPULISMO.
Secondo molti sociologi e politologi é la radicale contrapposizione tra un popolo puro e morale ed una elite corrotta.
Loro, i nemici del popolo, sono i parassiti, gli appartenenti ad ogni specie di casta, i burocrati, i tecnocrati.

ANTIPOLITICA.
Come il populismo si basa su una visione della realtà di tipo binario.
Polo negativo é la cattiva politica.
L’anti diventa mera contrapposizione, non già alla politica tout court, ma alla mala politica.
Antipolitica diventa così quanto si contrappone ad aspetti degenerativi come la corruzione in crescita smisurata, lo scambio politico, gli intrecci perversi tra politica ed interessi, tra politica e potentati economici.
Senza trascurare come bersagli della antipolitica, che – dunque – altro non é che anelito alla buona e lotta alla mala politica, siano le lentezze decisionali, gli stalli della politica politicante, le miserie correntizie.
Difficilmente populismo e anti politica resteranno estranee alla personalizzazione della politica che transita e si afferma attraverso la figura del leader.
Questi,per quanto figura ovviamente fuori dal comune, perché impregnata dal carisma, deve al tempo stesso essere capace di raffigurarsi come uno del popolo.
Proprio perché é tramite il leader che il popolo si riavvicina alla politica.
Il leader dovrà il più possibile essere estraneo al potere politico ed in sintonia con la gente.
Sarà l’outsider rispetto all’apparato.
La personalità in altri settori prestata alla politica.
L’antitesi del politico di professione.
Soggetto fattosi da sé.
Che sfida le oligarchie di partito.
Il leader sarà opposizione permanente. Opposizione anche quando raggiungerà incarichi di responsabilità.
Non dimenticandosi, né prima né dopo, del tipo di linguaggio: lontano dall’autoreferenziale politichese, vicino al linguaggio comune della gente. (Nota “molto” personale: l’uso del dialetto non risponde forse a questa esigenza?).
La centralità del leader finisce sostanzialmente per iscriversi alla esigenza di riannodare e rivitalizzare i rapporti tra rappresentanti e rappresentati.
Questa la summa della riflessione del sociologo Bordignon sulla personalizzazione della politica.
Alla fine, giudicata, non un male necessario, ma un bene indispensabile.
Il libro prosegue con la narrazione storica del percorso della personalizzazione della politica, da destra a sinistra, fino a Grillo.
La analisi e’ completa.
Fin troppo dettagliata (qui ho largamente saltato).
Puntata particolarmente sulle ambasce della sinistra, descritta come tutt’altro che contraria alla personalizzazione, anzi; ma incapace di esprimere un leader, che non sia il marginale affabulatore di Terlizzi.
Ma ora …….. Renzi c’é.

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.


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