Il partito del capo – recensione di Franco Metta

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Il partito del capo

                                                  IL PARTITO DEL CAPO
di FABIO BORDIGNON

 

 

 

 

 

 

 

 

Un testo, tanto ignorato dai media, quanto indispensabile per comprendere la politica: oggi.
Si parte con Antonio Gramsci: “Finche’ sara’ necessario uno Stato, finche’ sara’ storicamente necessario governare gli uomini, qualunque sia la classe dominante, si porra’ il problema di avere dei capi, di avere un capo.”
Si continua con la indiscutibile constatazione della avvenuta “personalizzazione” della politica, ad ogni livello.
Anche a livello territoriale.
Si dilatano a dismisura gli spazi politici occupati dai singoli leader. Nazionali o locali.
Il cittadino elettore tende sempre di più a compiere delle scelte di voto personali,
svincolate dal condizionamento dei partiti.
Questa situazione, che non credo sia oggettivamente discutibile, é il frutto, essenzialmente,
dell’indebolimento dei partiti tradizionali.
Ma se e’ vero che il tempo dei partiti di massa é scaduto, é altresì vero che la società si é destrutturata.
I cittadini tendono ad avanzare istanze sempre più diversificate.
La lettura onnicomprensiva del mondo attraverso le lenti della ideologia é uno strumento ormai inadeguato.
Ma attenti a dirlo al barbuto segretario del PD di Cerignola, potreste provocargli una crisi esistenziale definitiva ed irreversibile.
Attraverso la personalizzazione della politica si accorciano le distanze tra i cittadini e la politica.
E si scatena la caccia al leader, che non è, non può essere, puramente e semplicemente colui o colei che in un dato momento storico é a capo di qualcosa di politico.
Quello o quella sarà il capo, come in stazione ci sarà pure un capo/ stazione, con il berrettino rosso.
Anche se il titolo evoca il capo, non dimenticatevi che non cerchiamo per definire il fenomeno della personalizzazione della politica un caporale di giornata.
Cerchiamo un leader.
Che disponga di quello che Nye chiama il soft power.
Un certo tipo di potere che fonda carisma e capacità di comunicare efficacemente.
I candidati che conquistano gli elettori e, quindi, diventano leader sono quelli “capaci di tessere racconti emotivamente persuasivi su se stessi e sui loro avversari, quelli capaci di far provare alla gente i loro stessi
sentimenti” (Westen).
Da mandare a memoria i passaggi del testo in cui si fa chiarezza sulla definizione e sulla stessa essenza di due termini in politica assai abusati.
Ingiustamente bistrattati, da sciocchi quanto ignoranti esegeti.

POPULISMO.
Secondo molti sociologi e politologi é la radicale contrapposizione tra un popolo puro e morale ed una elite corrotta.
Loro, i nemici del popolo, sono i parassiti, gli appartenenti ad ogni specie di casta, i burocrati, i tecnocrati.

ANTIPOLITICA.
Come il populismo si basa su una visione della realtà di tipo binario.
Polo negativo é la cattiva politica.
L’anti diventa mera contrapposizione, non già alla politica tout court, ma alla mala politica.
Antipolitica diventa così quanto si contrappone ad aspetti degenerativi come la corruzione in crescita smisurata, lo scambio politico, gli intrecci perversi tra politica ed interessi, tra politica e potentati economici.
Senza trascurare come bersagli della antipolitica, che – dunque – altro non é che anelito alla buona e lotta alla mala politica, siano le lentezze decisionali, gli stalli della politica politicante, le miserie correntizie.
Difficilmente populismo e anti politica resteranno estranee alla personalizzazione della politica che transita e si afferma attraverso la figura del leader.
Questi,per quanto figura ovviamente fuori dal comune, perché impregnata dal carisma, deve al tempo stesso essere capace di raffigurarsi come uno del popolo.
Proprio perché é tramite il leader che il popolo si riavvicina alla politica.
Il leader dovrà il più possibile essere estraneo al potere politico ed in sintonia con la gente.
Sarà l’outsider rispetto all’apparato.
La personalità in altri settori prestata alla politica.
L’antitesi del politico di professione.
Soggetto fattosi da sé.
Che sfida le oligarchie di partito.
Il leader sarà opposizione permanente. Opposizione anche quando raggiungerà incarichi di responsabilità.
Non dimenticandosi, né prima né dopo, del tipo di linguaggio: lontano dall’autoreferenziale politichese, vicino al linguaggio comune della gente. (Nota “molto” personale: l’uso del dialetto non risponde forse a questa esigenza?).
La centralità del leader finisce sostanzialmente per iscriversi alla esigenza di riannodare e rivitalizzare i rapporti tra rappresentanti e rappresentati.
Questa la summa della riflessione del sociologo Bordignon sulla personalizzazione della politica.
Alla fine, giudicata, non un male necessario, ma un bene indispensabile.
Il libro prosegue con la narrazione storica del percorso della personalizzazione della politica, da destra a sinistra, fino a Grillo.
La analisi e’ completa.
Fin troppo dettagliata (qui ho largamente saltato).
Puntata particolarmente sulle ambasce della sinistra, descritta come tutt’altro che contraria alla personalizzazione, anzi; ma incapace di esprimere un leader, che non sia il marginale affabulatore di Terlizzi.
Ma ora …….. Renzi c’é.

Franco Metta
Per la Fondazione Giuseppe Tatarella.